Vi siete mai chiesti cosa accade al flusso sanguigno quando ci alleniamo? No? Bene, neanch'io. Scopriamolo insieme.
Prima di avventurarci nella lettura, dobbiamo soffermarci su un concetto chiave che ci servirà per la comprensione generale del testo: la gittata cardiaca, ovvero la quantità di sangue che viene pompato dal cuore nella circolazione in un minuto. Il suo valore a riposo è pari a 5 litri al minuto e consente in primis l'adeguato trasporto di ossigeno ai tessuti e organi che in questa condizione ne hanno più bisogno. Per fare un esempio, la percentuale di gittata cardiaca a riposo per i muscoli è del 10-20% (circa 0.5-1 l/min), mentre per i reni è del 20-25% (circa 1-1.25 l/min). Invece, durante l'esercizio fisico, il valore della gittata cardiaca aumenta notevolmente fino a 3-4 volte con ben 20 litri al minuto pompati dal cuore e, riprendendo l'esempio precedente, in percentuale, la quantità che spetta ai muscoli si alza fino all'80-85% (circa 16-17 l/min), mentre nei reni scende anche al 2-3% (circa 0.4-0.6 l/min).
Il sistema nervoso simpatico (SNS), quella parte di sistema nervoso periferico che entra in gioco in situazioni di emergenza o di stress (come l'attacco di un animale feroce oppure più semplicemente un allenamento in sala pesi), ha il compito di attivare tutta una serie di risposte tra le quali troviamo proprio la ridistribuzione della gittata cardiaca, ottenuta mediante la vasodilatazione ai tessuti coinvolti nell'esercizio, come i muscoli, e la vasocostrizione ai tessuti e organi che non sono prettamente collegati all'esercizio come invece lo sono i reni.
Fin qui tutto bene, ma se vi dicessi che il SNS può anche vasocostringere i muscoli durante l'esercizio? Sembra quasi un paradosso, in realtà si tratta per l'appunto del “paradosso del sistema nervoso simpatico” che, da un lato, aumenta il flusso di sangue ai muscoli, ma dall'altro riduce il diametro dei vasi in periferia (“Quindi anche dei muscoli?”, probabilmente vi starete chiedendo) durante l'esercizio.
Tuttavia durante la contrazione muscolare vengono rilasciate sostanze vasoattive (come l'ossido nitrico, un vasodilatatore) che possono attenuare questa vasocostrizione simpatica, fenomeno che prende il nome di simpatolisi funzionale.
Esistono due teorie che spiegano come la funzione cardiovascolare (gittata cardiaca in primis) e ventilatorie (la richiesta di ossigeno) aumentino durante l'esercizio fisico:
- la prima propone che alla base dei cambiamenti ci sia un meccanismo riflesso, chiamato "exercise pressor reflex", evocato da stimoli meccanici (quindi da meccanocettori in particolare dalle fibre nervose afferenti del gruppo III e IV, come le terminazioni nervose libere e i nocicettori), e metabolici, dovuti forse al lattato oppure alla combinazione di ATP e altre sostanze, ma comunque tutti originati dai muscoli che si contraggono;
- la seconda teoria, denominata "central command", spiega che questi cambiamenti sono dovuti all'azione diretta della corteccia motoria o del subtalamo su gruppi di neuroni spinali che controllano le funzioni ventilatorie e cardiovascolari.
Ma cerchiamo di rispondere alla domanda iniziale: durante un whole body exercise (ovvero un esercizio che coinvolge sia la parte superiore del corpo che quella inferiore) l'incremento della gittata cardiaca è abbastanza grande da supportare il flusso sanguigno ai muscoli? Questa review trova quattro linee di evidenza a tal proposito che saranno discusse qui di seguito.
La prima suggerisce che l'intensità della contrazione muscolare durante l'esercizio, quando viene superato in particolare il 30% della massima contrazione volontaria (MCV), ostacoli il flusso sanguigno ai muscoli e che risulterebbe più rappresentativo usare un indice di flusso come l'iperemia post-esercizio piuttosto che una valutazione durante l'esercizio stesso a causa delle fasi ischemiche che si succedono durante le ripetizioni.
La seconda linea di evidenza, molto interessante, è che esisterebbe una certa "competizione" (come viene definita dagli autori) tra esercizi per la parte superiore del corpo come l'handgrip e per la parte inferiore come le flessioni plantari dal momento che il parametro che prima abbiamo analizzato, l'iperemia post-esercizio, risulta attenuato. Inoltre sembrerebbe che il flusso sanguigno ai polpacci venga ridotto solo quando l'intensità dell'esercizio di handgrip supera il 50% della MCV o quando questo esercizio viene svolto a cedimento. Quindi, in sintesi: la riduzione del flusso sanguigno sembrerebbe dipendere non tanto dai muscoli coinvolti, ma dall'intensità stessa dell'esercizio.
A proposito della seconda evidenza, non vi è venuta in mente una domanda? Niente? Meno male che gli autori di questo studio ci hanno pensato: l'esercizio può influenzare il flusso sanguigno ai muscoli respiratori? Sembrerebbe, sempre da uno studio citato, che durante un'attività intensa come un esercizio massimale al cicloergometro il flusso sanguigno alle gambe possa essere ridotto per supportare la respirazione esterna piuttosto che l’esercizio stesso con i possibili effetti dannosi che questo può provocare nella performance.
Per la terza linea di evidenza viene sottolineato come i flussi sanguigni durante un esercizio combinato di braccia e gamba siano ridotti rispetto a quando quest’ultimi lavorano separatamente. Viene anche specificato che le braccia non sono perfuse, o irrorate, come le gambe.
Domanda: un esercizio combinato può influenzare il flusso sanguigno cerebrale? La risposta vi sorprenderà: dipende. Il flusso sanguigno cerebrale, con il relativo trasporto di ossigeno, sono compromessi quando la gittata cardiaca è limitata, come quando si usano speciali farmaci o per patologie cardiache, e questo viene riportato. Tuttavia sembrerebbe che durante un esercizio massimale l'ossigenazione cerebrale (misurata attraverso uno speciale strumento noto come “near infrared spectroscopy” o NIRS, italianizzato in spettroscopia nel vicino infrarosso), venga ridotta e che questo, ovvero la riduzione dell'ossigenazione cerebrale, potrebbe (ripeto potrebbe) suscitare un fenomeno noto come fatica centrale, caratterizzata da “incapacità psicologica a continuare o a ripetere lo sforzo” (Principi e Metodologie del Fitness. 2013, p. 109).
Infine, la quarta linea di evidenza tratta della regolazione della pressione arteriosa, che ricordo essere determinata sia dalla gittata cardiaca che dalla conduttanza vascolare. Quest’ultima “rappresenta la quantità relativa di costrizione o dilatazione esibita dalla vascolarizzazione arteriosa sistemica”. Viene sottolineata l'importanza, durante l'esercizio, del riflesso barocettivo, responsabile del controllo della pressione arteriosa. Infatti, quando quest'ultima aumenta, provoca l'attivazione dei barocettori, localizzati nelle arterie carotidi e dell'aorta, e, tramite neuroni sensoriali, l'informazione (o potenziale d'azione) raggiunge il centro di controllo cardiovascolare del bulbo e viene elaborata la risposta opportuna, ovvero abbassare la pressione arteriosa, diminuendo l'attività simpatica (ottenuta riducendo la resistenza periferica mediante la vasodilatazione) e aumentando quella parasimpatica. "La risposta riflessa barocettiva è abbastanza rapida: essa produce modifiche della gittata cardiaca e della resistenza periferica entro due battiti cardiaci dallo stimolo" (Fisiologia Umana. Un approccio integrato. 2010, p. 545).
In conclusione, gli autori affermano che "il flusso sanguigno durante un whole body exercise è subordinato al controllo della pressione sanguigna".
dott. Settimo Mangano
Secondo Anno in Scienze delle Attività Motorie Preventive e Adattate
Università degli Studi di Palermo
Bibliografia
- Silverthorn D.U. Fisiologia Umana. Un approccio integrato. Quinta edizione, 2010. Pearson editore.