“La mobilità è la capacità dell’individuo di eseguire dei movimenti con grande ampiezza di escursione” D. Harre (1972)
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Con l’espressione mobilità articolare (o flessibilità) viene definita la capacità di utilizzare al massimo e nel modo migliore le possibilità di movimento delle articolazioni. La flessibilità articolare è definita dal ROM (Range Of Motion), ossia dai gradi di libertà permessi da una specifica articolazione. Il ROM è usualmente misurato dal numero di gradi compiuti da un segmento corporeo dalla posizione di partenza alla posizione finale, lungo il suo completo arco di movimento.
Ancor prima di colpevolizzare un metodo, una tecnica di allenamento o un istruttore, osserviamo quali sono i fattori determinanti che nell’essere umano caratterizzano la mobilità articolare
• I Tendini. Radunano il reticolo intramuscolare di tessuto connettivo e s’inseriscono sull’osso ancorandosi ad esso permettendo l’azione delle leve;
• Il Tessuto Muscolare composto da cellule muscolari (fibre), caratteristica principale l’elasticità;
• Il Tessuto Connettivo che riveste il muscolo in toto e le sue diverse parti (p.es. il m. quadricipite che è formato da quattro ventri);
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• L’Endomisio che riveste la fibra muscolare;
• Il Perimisio che riveste l’insieme di fibre (fascicoli).
Da qui si intuisce l’importanza di una ottimale distanza tra i ponti di actina-miosina che a loro volta determinano l’ottimale distanza tra le fibre e l’importanza che riveste il coordinamento tra contrazione e rilasciamento delle masse muscolari (3,4).
Anatomicamente sappiamo che l’uomo ha una struttura e una biomeccanica delle articolazioni, definita dalle superfici articolari che la costituiscono, che le permettono movimenti più o meno ampi con diversi gradi di libertà. Ma sforziamoci di andare oltre i disegni dei libri e considerare le articolazioni del nostro corpo non solo come un punto di contatto tra due o più superfici articolari ma come un insieme di ossa, legamenti, muscoli e tessuti che dipendono fisiologicamente dall’ambiente interno ed esterno all’organismo.
Osserviamo in che percentuale influiscono determinate strutture sulla mobilità articolare.
Struttura resistenza alla mobilità articolare (% totale)
- Capsula articolare 47%
- Muscolo 41%
- Tendine 10%
- Cute 2%
INFLUENZE INTERNE ED INFLUENZE ESTERNE
Altro fattore importante è l’influenza che l’ambiente interno/esterno all’organismo gioca sulla nostra mobilità articolare
- Influenze interne
- La genetica
- Il tipo di articolazione con le sue strutture ossee che limitano il movimento
- L'elasticità del tessuto muscolare
- Precedenti lesioni. Il tessuto cicatriziale generato da un precedente trauma muscolare o legamentoso, è sempre più rigido e meno elastico di un tessuto integro e continuo
- L'elasticità dei tendini e legamenti
- L'elasticità della pelle (la pelle possiede un certo grado di elasticità)
- La capacità di un muscolo di rilassarsi e contrarsi per raggiungere la maggiore gamma di movimento
- Il grado di maturazione del sistema nervoso
- Il grado di condizionamento muscolare individuale
- La temperatura dell'articolazione e tessuti associati (articolazioni e muscoli offrono una migliore flessibilità a temperature corporee che sono da 1 a 2 gradi sopra la norma)
- Idratazione dei tessuti. Bere non fa bene solo per depurare l’organismo o per “dimagrire”. Un tessuto ben idratato avrà degli scambi di sostanze nutritive e smaltimento di sostanze di scarto più efficiente. Nel caso delle articolazioni, il liquido sinoviale distribuirà nutrienti e rimuoverà i detriti dello sfregamento meccanico e dell’usura fisiologica dell’organismo.
- Influenze esterne
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- La temperatura del luogo dove ci si allena (a 45°C la flessibilità din. aumenta del 20%)
- Il momento della giornata (la maggior parte delle persone è più flessibile nel pomeriggio rispetto al mattino, con picchi dalle 14:30 alle 16 circa del pomeriggio)
- Lo stadio del processo di recupero dopo la lesione
- L’età (si consolida tra i 9 e i 14 anni)
- Il sesso (le donne sono generalmente più flessibili dei maschi)
- Una buona conoscenza da parte dell’istruttore o del semplice appassionato di fitness dell’anatomia e della biomeccanica dell’apparato locomotore
- La capacità individuale di svolgere un particolare esercizio (s'impara con la pratica)
- L'impegno individuale a raggiungere la flessibilità
- I tessuti adiposi in eccesso
- La massa muscolare ipertrofica
- La giusta proporzione muscolare tra m. agonisti e antagonisti di uno stesso distretto muscolare
- La tecnica di esecuzione degli esercizi di sala attrezzi, di ginnastica, di crossfit, di pilates, di karate ecc...
Riassumiamo quindi questa sezione dicendo abbiamo tre tipologie principali di mobilità articolare
1. Mobilità articolare anatomica
indica l’escursione articolare garantita dalla natura anatomica delle componenti che la limitano (faccette articolari, estensibilità delle strutture connettivali e muscolari)
2. Mobilità articolare attiva
la massima escursione di un movimento articolare raggiunta da un’atleta contraendo i muscoli agonisti e, parallelamente, rilassando gli antagonisti
3. Mobilità articolare passiva
è la massima escursione raggiunta per l’azione di forze esterne (forza di gravità, attrezzi, manubri, bilancieri, elastici, azione di un compagno) grazie alla capacità di allungamento o rilassamento dei muscoli antagonisti.
La differenza tra mobilità articolare attiva e passiva viene definita riserva di movimento e indica fino a che punto può essere migliorata la mobilità attiva, potenziando gli agonisti e aumentando la capacità di allungamento degli antagonisti. La capacità di decontrarre i muscoli antagonisti è il punto di partenza per incrementare la mobilità articolare
COME ALLENARE LA MOBILITÀ ARTICOLARE
La letteratura scientifica è stracolma di metodi, direttive, protocolli e teorie più o meno valide e applicabili a tutti. Nel prossimo articolo dedicheremo più tempo ai metodi di valutazione e alle metodiche di allenamento. Qui ci limiteremo solo, a distinguere i due principali tipi di allenamento della mobilità articolare.
IL METODO STATICO E IL METODO DINAMICO
• Metodo statico
Caratteristica di base di questa metodica è il raggiungimento di una posizione che sia possibile mantenere senza dolore per qualche secondo. La si raggiunge lentamente, in modo da non stimolare nei muscoli antagonisti il riflesso miotatico inverso.
Raggiunta la posizione, questa va mantenuta per un tempo che va da 15 a 30 secondi, dopodiché si aumenta la tensione stessa, e la si tiene per altri 15-30 secondi.
• Metodo dinamico
Esistono diverse varianti più o meno valide e accettate dalla comunità scientifica. Sostanzialmente prevede un allungamento che sollecita il riflesso miotatico inverso. è molto semplice, ma occorre la guida del tecnico poiché si arriva in posizione di massimo allungamento e poi si tenta di andare oltre questa posizione con un movimento brusco e violento. Si cerca la sollecitazione del riflesso miotatico inverso in modo da indurre il muscolo, sottoposto ad una brusca tensione d'allungamento, a reagire con una rapida contrazione, (identico biomeccanismo che avviene al momento del contatto con il bersaglio negli sport da combattimento. Il cosiddetto, in gergo tecnico, “colpo di frusta”).
CONCLUSIONE
Torniamo alla nostra domanda iniziale. L’esercizio con i pesi liberi e/o le macchine ci rende rigidi? La risposta è NO!
Come abbiamo detto fin ora, le caratteristiche proprie di un individuo e il mix di fattori interni ed esterni dell’organismo, giocano l’unico fattore determinante per una buona mobilità articolare. Non dobbiamo fare l’errore di considerare la mobilità articolare come una capacità innata e quindi indipendente dalla fisiologia. L’allenamento con i pesi liberi o con le macchine, non è causa di una diminuzione o di un aumento del ROM. Semmai lo è la tecnica. La tecnica di esecuzione degli esercizi sicuramente andrà ad influire su tale capacità, una buona conoscenza dell’anatomia o al contrario una scarsa conoscenza sicuramente determineranno il grado di ampiezza e il grado di usura delle nostre articolazioni, un giusto e armonioso equilibrio tra muscolo agonista e antagonista sicuramente migliorerà la nostra mobilità. Non è quindi l’allenamento in se, ma un connubio tra genetica, omeostasi e perizia dell’istruttore o del semplice appassionato di fitness.
Ricordiamo inoltre che la capacità di contrarsi, propria dei muscoli, è direttamente proporzionale alla loro capacità di allungarsi, di conseguenza, più un muscolo è capace d'allungarsi più è capace di contrarsi; più è capace di CONTRARSI, più è capace di sviluppare FORZA.
La chiave di tutto è la tecnica d’esecuzione del singolo gesto motorio
“ Tecnica = applicazione biomeccanicamente corretta della forza ”
(Richard A. Schimdt, Craig A. Wrisberg Apprendimento motorio e prestazione, US 2000)
Dott. Francesco Vella
- Gleim GW, McHugh MP. Flexibility and its effects on sports injury and performance.Sports Med. 1997 Nov;24(5):289-99.
- Borms J, Van Roy P, Santens JP, Haentjens A. Optimal duration of static stretching exercises for improvement of coxo-femoral flexibility.J Sports Sci. 1987 Spring;5(1):39-47.
- Editorial: Starling's law survives., in Lancet, vol. 2, nº 7884, ottobre 1974, p. 818,
- D. Maestrini, [On cardiac dynamics in the phase preceding right hypertrophy and on its electrocardiographic aspect in man.], in Policlinico Prat, vol. 66, ottobre 1959, pp. 1409-13,
- Corrado Cerullo, Sedute di mobilità articolare e allungamento muscolare per il calcio e gli sport di squadra. Perugia: Calzetti & Mariucci, 2013.
- Roberts JM, et al. Effect of stretching duration on active and passive range of motion in the lower extremity.j Sports Med.1999 Aug;33(4):259-63
- Magnusson SP. Passive properties of human skeletal muscle during stretch maneuvers. A review Scand J Med Sci Sports. 1998 Apr;8(2):65-77.